Both Sides by Joni Mitchell Malka Marom

Both Sides by Joni Mitchell Malka Marom

autore:Joni Mitchell, Malka Marom [Marom, Joni Mitchell, Malka]
La lingua: ita
Format: epub
editore: SUR
pubblicato: 2016-02-17T23:00:00+00:00


4. «Se Charlie Parker fosse un pistolero, ci sarebbero un sacco di copioni morti». [n.d.t.]

Terza parte

M: Sono passati trentatré anni da quando abbiamo registrato la nostra ultima conversazione, e quarantacinque da quando ti ho vista cantare per la prima volta al Riverboat; quasi mezzo secolo fa, santo cielo. Eppure ieri sera ti ho vista cantare e ballare qui a casa tua come se non fosse trascorso neanche un giorno, e mi sono detta: che peccato essere l’unica a vederla. Che meraviglia sarebbe se tu facessi un tour, come sta facendo Leonard Cohen in questi giorni. Hai visto il suo concerto a Toronto, e ti è piaciuto.

J: Sì, il miglior concerto di Leonard che ho mai visto. La band migliore, l’orchestra migliore, i migliori arrangiamenti. E il repertorio, poi: un’ottima scaletta, dal primo all’ultimo pezzo.

M: Io l’ho trovato straordinario, specialmente considerando l’impressione di fragilità che dà quando lo abbracci.

J: Sì, è molto fragile. Molto delicato. Com’era mio padre verso la fine.

M: E poi invece, sul palco... A vederlo inchinarsi e quasi ballare, l’ho trovato meraviglioso. Sembrava nutrirsi dell’energia che gli arrivava dal pubblico, del loro affetto. Ti viene mai la tentazione di tornare on the road?

J: No. Non sono mai stata affamata di applausi e grossi cachet. Per me l’arte è sempre stata la misura di sé stessa.

Leonard è un tale seduttore, sarebbe capacissimo di credere che tutta quella gente è davvero innamorata di lui. [Ride.] Io non ci riesco. Non mi fido dell’adorazione delle masse. Non mi nutre. La vedo come una belva potenzialmente pericolosa. Non sono tanto affamata di applausi da voler manipolare la scimmia perché urli al mio cospetto. Non ne ricaverei un’emozione forte, né vi cercherei un senso di vittoria. Per me non funzionerebbe. Preferisco che si dimentichino di applaudire. Che restino così intontiti da andare in trance. Quello per me sarebbe più entusiasmante dell’applauso più forte della serata. Lì mi sentirei di aver raggiunto un traguardo.

Io non sono proprio una bestia da palcoscenico. Non ho quell’esigenza. Le canzoni preferisco crearle. Mi piacciono le collaborazioni, il cameratismo fra musicisti, i piccoli locali.

Nei locali piccoli ci suonavo all’epoca in cui ero semisconosciuta, e quando facevo un pienone di tre, quattrocento spettatori era una pacchia. Ero tutta un sorriso. Non riuscivo a credere che ci fosse gente ammassata fino in fondo alla sala... Ero tanto contenta nei posticini piccoli. I grandi palchi non mi sono mai piaciuti.

M: Come mai?

J: Perché la mia musica non è mica per tutti.

M: Però hai suonato in grossi festival, su palchi giganteschi. Per esempio all’Isola di Wight [nel 1970].

J: Ah, sì. Quello fu il pubblico peggiore di sempre, per un artista. Di quelli che l’artista lo odiano, tutti e seicentomila. Fu molto difficile, suonarci è stata un’esperienza orribile.

Io volevo esibirmi la sera. Non volevo vedere il pubblico, perché in quei casi la gente è lì per l’evento, mica per l’artista, per cui spesso ti trovi davanti un pandemonio, non certo una folla che ti ascolta rapita.

In più io ero l’unica a esibirmi da sola.



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